TIMELESS - 05. RUDEEJAY
RUDEEJAY E LE FACCE NASCOSTE DELLA BOLOGNA SOTTERRANEA
È stato un momento importante quello in cui abbiamo “catturato” Rudeejay, nella sortita bolognese di Timeless, quinto appuntamento nel nostro viaggio fra bellezze e meraviglie italiane. È stato un momento importante, sì, perché finalmente dopo mesi proprio in quei giorni nel suo calendario hanno ripreso ad apparire date, viaggi, posti dove andare a suonare: non averne avuti, per uno dei dj più richiesti ed impegnati in Italia (e su questo ora ci torniamo), è stato tutto tranne che facile. È stato poi anche un momento importante perché lo abbiamo chiamato a suonare nella “sua” Bologna. Ma lo abbiamo fatto in un posto speciale. Con anche mille simbologie.
Ma andiamo con ordine. Rudeejay è la dimostrazione pratica di come possa essere un dj; anzi, di come debba essere un dj. La chiusura dei locali, la “crisi del clubbing” di cui si parlava nel settore ancora prima del lockdown, non lo ha mai toccato veramente – infatti lo ribadiamo, è da tempo uno dei più richiesti ed impegnati in Italia. E non a caso. Basta sentirlo suonare. Anzi: basta “sentirlo”. Perché si tratta di uno di quegli artisti bravi tecnicamente ma che, prima di tutto, vuole (e sa!) comunicare gioia ed entusiasmo al pubblico: la cosa fa la differenza, eccome. Il suo modo di essere lo rende più forte delle mode, della necessità di fare una hit, del bisogno di essere nel “giro giusto”, del fatto di essere o meno nell’aristocrazia della club culture (…che spesso ha il difetto di partire bene, da principi nobili, per poi però terminare nello snobismo: e se la vera crisi fosse questa?).
Non si fa problemi a seminare “esche” per il pubblico, sotto forma di hit immediatamente riconoscibili, ma al tempo stesso ha un amore e una conoscenza per la club culture che sono profondi, e che affiorano a più riprese: ad esempio nella chiacchierata che ci siamo fatti dopo il set, in cui ha espresso omaggi e riconoscenze ai grandi Pastaboys (bolognesi, ma leggende su scala globale della house music più raffinata), o anche nel modo in cui ha chiuso il set, con l’immortale “Halcyon” degli Orbital, uno di quei brani che se dovete raccontare davvero la storia – e la bellezza – della musica elettronica non potete non conoscere, anche se ormai ha trent’anni o giù di lì.
I Bagni di Mario, la nostra location felsinea, hanno invece qualcosa di più trent’anni. Molto di più. Hanno secoli. E soprattutto, sono un posto veramente magico, inaspettato. Inaspettato tra l’altro anche per i bolognesi stessi, che per generazioni e generazioni passate hanno creduto fosse un antico insediamento termale di origine romana; in realtà, studi più accurati fanno risalire l’origine al Rinascimento e soprattutto aggiustano il tiro sulla funzione originaria di questo luogo sotterraneo incredibilmente affascinante: non terme, ma una cisterna con la funzione di far affluire acqua verso alcuni punti nevralgici del centro cittadino e, in primis, verso la fontana che ospita la Statua del Nettuno, il simbolo di Bologna assieme alle Due Torri. Il tutto opera dell’architetto palermitano Tommaso Laureti su committenza del pontefice mediceo Pio VI, a metà del sedicesimo secolo. Successivamente i Bagni di Mario (o, per usare il nome più corretto, la Conserva di Valverde) vennero progressivamente abbandonati e dismessi nelle loro funzioni, per essere solo momentaneamente recuperati come rifugio antiaereo nella seconda guerra mondiale.
È dal 2017, da pochissimi anni quindi, che sono stati perfettamente ripristinati e riaperti al pubblico per visite ad accesso limitato e numero chiuso. Fanno parte di uno di quei segreti della “Bologna sotterranea e nascosta” di cui poco si parla, quando si raccontano Bologna e i suoi simboli al mondo, ma che invece è un’anima importante della città (…e chi conosce la finestrella di Via Piella, ad esempio, sa a cosa ci riferiamo). Del resto la vocazione “underground” della città emiliana ha mille risvolti: simbolicamente, è ad esempio davvero fondamentale nella musica.
Bologna è da sempre fermento di sottoculture, avanguardie lontane dal mainstream, rivoluzioni, eccezioni, ma anche di eroi che da prettamente locali sono diventati globali con la sola forza del loro talento, della loro inventiva, della loro originalità. In fondo non è un caso che uno dei cantautori più atipici nella storia della musica italiana sia bolognese, ci riferiamo a Lucio Dalla (…e lui è bolognese fino al midollo, a partire dalla passione feroce che aveva per il basket: basket che tra l’altro si intreccia anche nella biografia famigliare di Rudeejay in maniera molto significativa, ma questa è un’altra storia). Questa città, in mille cose ma in primis nella musica, ha uno spirito particolare. Uno spirito “sotterraneo” ma gaudente. Avanguardista ma comunicativo. Sorridente ma non banale. Capace di trasformarsi, in modo profondo, quando (e se) necessario – ma senza tirarsela mai. Ecco: legare Rudeejay e i Bagni di Mario in mille maniere percorre questi fili, queste suggestioni. I fili e le suggestioni di storie e sensibilità italiane belle, ogni volta particolari. Una risorsa unica. Una risorsa senza tempo.
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